Partito Costituzionale Democratico Russo.
PARTITO COSTITUZIONALE DEMOCRATICO RUSSO (1905-1917). Fondato nel 1905, è chiamato anche "partito cadetto" dalle iniziali della denominazione in lingua russa (Kdp). Dapprima monarchico, divenne repubblicano in seguito alla rivoluzione di febbraio e alla messa al bando dei partiti di destra. Fino alla rivoluzione d'ottobre fu il principale partito della borghesia russa, ma nel novembre 1917, dichiarati i "cadetti" nemici del popolo, il partito si dissolse. (1917). Rivoluzione politica scoppiata in Russia nel febbraio-marzo 1917. Determinò la caduta del regime zarista e aprì la strada alla rivoluzione d'ottobre dello stesso anno. Dopo centinaia di migliaia di morti e una situazione economica interna disastrosa, a seguito dell'ennesima offensiva militare fallita fra le tante compiute nei tre anni della Prima guerra mondiale contro la Germania, a Pietrogrado lo scontento popolare sfociò in dure dimostrazioni contro il governo, nel corso delle quali interi reparti dell'esercito disertarono e passarono dalla parte dei rivoltosi. Questa situazione portò alla formazione di un Comitato esecutivo provvisorio e, pochi giorni dopo, all'abdicazione dello zar Nicola II, con la formazione del primo governo provvisorio, formato dai partiti moderati, sotto la guida del principe L'vov. Da lì prese il via un conflitto di potere, in particolare per il controllo sulle forze armate, tra il nuovo governo e i soviet degli operai e dei soldati di Pietrogrado, che con un decreto avevano deciso la costituzione di comitati elettivi nell'esercito. (7 novembre 1917). Presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia, così chiamata perché realizzata tra il 25 e il 26 ottobre secondo il calendario giuliano, allora in vigore in tutti i territori già facenti parte dell'impero zarista. TUTTO IL POTERE AI SOVIET. Essa costituì la conclusione del percorso di profonda trasformazione dello stato e del potere iniziato con la rivoluzione di febbraio di quello stesso anno. I governi provvisori nel frattempo succedutisi non erano riusciti a risolvere i gravi problemi della popolazione (in primo luogo le conseguenze negative della guerra sui livelli materiali di vita) e a interrompere il progressivo deteriorarsi dell'autorità politica e della credibilità delle istituzioni. I bolscevichi, sotto la direzione di Lenin, rientrato in marzo dall'esilio, divennero in pochi mesi la forza politica attorno cui si coagulò lo scontento, aumentando progressivamente la propria forza e influenza tra i settori popolari delle principali città e negli organismi di rappresentanza di recente formazione (soviet). Con un programma sintetizzato nello slogan "tutto il potere ai soviet" (in particolare: nazionalizzazione delle banche e della terra, fine immediata della guerra in corso dal 1914 e costituzione di una repubblica dei soviet), i bolscevichi si presentarono come la componente più compatta e decisa tra i partiti russi, i soli a essere dotati di una precisa strategia politica. Queste caratteristiche, elementi caratterizzanti del leninismo, rivelarono il loro peso durante la crisi precipitata dall'estate del 1917. Dopo la fallita offensiva russa di giugno sul fronte tedesco, i bolscevichi decisero di passare all'azione dando vita a violente manifestazioni di piazza che a Pietrogrado furono duramente represse dall'intervento dell'esercito (3-4 luglio). Lenin dovette fuggire in Finlandia, mentre altri importanti dirigenti bolscevichi, tra cui Trockij e Kamenev, venivano arrestati. Pur in condizioni di semiclandestinità i bolscevichi incrementarono la propria iniziativa politica d'agitazione e propaganda; in particolare essi furono molto attivi tra gli operai dei grandi complessi industriali e i soldati delle retrovie, arrivando ad assumere il controllo dei "soviet dei soldati e degli operai" a Pietrogrado e Mosca; in tal modo la dualità di potere presente in Russia dalla rivoluzione di febbraio (soviet da un lato e governo provvisorio dall'altro) assumeva le caratteristiche dello scontro aperto. Il tentato colpo di stato di settembre del generale L.G. Kornilov, che tentò di occupare Pietrogrado per restaurare il regime zarista, determinò una polarizzazione ancor maggiore delle posizioni. Rientrato Lenin dalla Finlandia e liberati i dirigenti arrestati, i bolscevichi decisero di prepararsi alla presa del potere attraverso un'insurrezione armata. Questa decisione venne presa dal Comitato centrale del partito il 10 ottobre nonostante l'opposizione di influenti dirigenti bolscevichi come Kamenev e Zinov'ev. Nei giorni successivi, mentre continuavano scioperi e manifestazioni, il piano insurrezionale venne attuato a partire dalla costituzione del Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado (16 ottobre). L'organismo, nato per difendere la rivoluzione russa dalla ventilata possibilità di un'offensiva tedesca sulla capitale, permise ai bolscevichi di assumere il controllo militare delle truppe di stanza in città. Determinati a prendere il potere prima dell'inizio del Congresso panrusso dei soviet (previsto per il 25 ottobre), i bolscevichi diedero il via all'insurrezione il 24 ottobre. I DECRETI SULLA PACE E SULLA TERRA. In due sole giornate, soprattutto grazie all'apporto dei marinai della flotta della base di Kronstadt e delle "guardie rosse" (soldati e operai armati dal soviet di Pietrogrado), il potere passava nelle mani dei bolscevichi in modo quasi incruento: la sera del 25 ottobre il governo Kerenskij veniva destituito e i suoi ministri arrestati durante l'assalto al Palazzo d'inverno (un avvenimento che divenne il momento simbolico dell'insurrezione). Contemporaneamente si apriva il Congresso panrusso dei soviet: mentre i menscevichi abbandonavano l'aula in segno di protesta contro l'insurrezione, la maggioranza dei delegati (bolscevichi e socialrivoluzionari di sinistra) le forniva l'avallo "legale". Il congresso si proclamava legittimo governo del paese e approvava i decreti sulla pace e sulla terra che costituivano i primi atti formali del nuovo potere sovietico. La vittoria politica, prima che militare, dei bolscevichi veniva poi confermata dalla decisione di delegare il consolidamento del nuovo potere al Consiglio dei commissari del popolo, organismo esecutivo di cui Lenin venne nominato presidente e che era composto principalmente da esponenti bolscevichi. Contro il nuovo potere l'ex primo ministro Kerenskij tentò un'offensiva con truppe rimastegli fedeli, ma venne sconfitto il 30 ottobre nella battaglia di Pulkovo. Nel resto del paese la rivoluzione incontrò una resistenza maggiore che nella capitale. A Mosca i bolscevichi assunsero il controllo della situazione solo il 2 novembre, dopo che il 28 ottobre la città era stata teatro di disordini che avevano provocato numerose vittime. Nelle altre città della Russia e nei principali distretti industriali il potere sovietico si consolidò in tempi e modi diversi: mentre nella gran parte del paese entro la fine del 1917 i nuovi organismi di potere si erano ormai formalmente consolidati, in Ucraina, nell'area del Don e nel Caucaso la rivoluzione trovava una più consistente opposizione che si protrasse, facendo sentire le proprie conseguenze in tutta la Russia, nei tre anni seguenti con la guerra civile russa. L'insurrezione non portò a un'immediata concentrazione del potere nelle mani dei bolscevichi. I socialrivoluzionari di sinistra presero parte attiva alle prime decisioni e ai primi organismi di governo, mentre menscevichi e socialrivoluzionari di destra iniziarono una violenta lotta al nuovo regime. Tuttavia, mentre le opposizioni erano destinate a essere presto messe fuorilegge sotto l'incalzare della guerra civile e dell'emergenza alimentare, il ruolo egemonico assunto dal partito di Lenin nella conquista del potere e le stesse modalità attraverso cui essa era avvenuta costituirono un forte condizionamento per il futuro. L'egemonia bolscevica (politica e militare) sui nuovi organismi di potere, unita alla situazione d'emergenza di un paese ridotto alla fame da anni di guerra, portarono presto a un accentramento del potere e segnarono fin dall'inizio la storia del nascente stato sovietico. G. Polo Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. (consiglio) Organismo elettivo russo, cellula base della democrazia di massa su cui fu originariamente organizzata la struttura statale dell'Urss. Il primo soviet nacque a Pietroburgo durante la rivoluzione del 1905. Risorti con la rivoluzione del febbraio 1917, i consigli degli operai, soldati e contadini si svilupparono come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico delle correnti socialiste. I bolscevichi, in particolare, fondarono la loro strategia insurrezionale sull'egemonia dei soviet come strumenti di potere alternativo sia all'apparato burocratico zarista che ai governi provvisori borghesi (Tutto il potere ai soviet fu la parola d'ordine di Lenin). Allo scoppio della rivoluzione d'ottobre (1917) il II Congresso panrusso dei soviet seguì le indicazioni dei bolscevichi proclamandosi depositario del potere statale e approvando i decreti sulla pace e sulla terra redatti da Lenin. Da allora i soviet divennero la base del nuovo ordinamento statale, anche se progressivamente svuotati d'autonomia decisionale e sempre più direttamente condizionati dalle decisioni del Partito comunista. L'ordinamento sovietico si costituì in forma piramidale partendo dai soviet dei villaggi e delle città (eletti da tutti i cittadini), passando per quelli delle repubbliche, fino al Soviet supremo, il parlamento federale dell'Urss. Membri del Partito operaio socialdemocratico russo aderenti alle tesi di Lenin che ottennero la maggioranza al II congresso del partito (1903), contro i menscevichi (bolscevichi significa appunto "maggioritari" in russo). Dopo la rivoluzione del febbraio 1917, questo nucleo di rivoluzionari professionali si staccò definitivamente dai menscevichi. Il Pcus mantenne la qualifica di bolscevico fino al 1952. (Vladimir Il'iec Ul'janov, Simbirsk 1870 - Gor'kij 1924). Politico russo. Uno dei principali pensatori marxisti, fu il promotore e l'indiscusso leader della corrente bolscevica, l'animatore della rivoluzione d'ottobre e il fondatore dello stato sovietico. Formatosi negli ambienti rivoluzionari populisti, venne a contatto con il pensiero marxista frequentando i circoli operai e socialisti di Pietroburgo, entrando presto in polemica con le posizioni dei populisti e rompendo con essi (Che cosa sono gli "amici del popolo" e come lottano contro la socialdemocrazia, 1894). Confinato in Siberia nel 1897 e costretto all'esilio tre anni dopo, fondò a Monaco il giornale "Iskra" (Scintilla) come organo di battaglia politica e ideologica tra le correnti del Partito operaio socialdemocratico russo. Cominciò così una lunga opera di formazione ideologica: Lenin, schierato su posizioni di sinistra sia nella seconda Internazionale che nel proprio partito, si distingueva per la centralità assegnata all'azione dell'avanguardia politica. Questa doveva guidare le masse proletarie alla conquista del potere politico, anche attraverso forzature, criticando l'attendismo delle socialdemocrazie europee. La formazione dei quadri del partito, la necessità di un'analisi rigorosa della fase politica, l'importanza della rottura rivoluzionaria nella presa del potere politico costituivano i suoi punti cardinali di riferimento (Che fare?, 1902). Su queste posizioni egli condusse un'aspra battaglia interna al Partito socialdemocratico russo, dando vita dal 1903 alla frazione bolscevica. IL PARTITO AVANGUARDIA DELLA CLASSE. Prese forma in quegli anni l'idea leninista del partito come nuova avanguardia della classe operaia: esso doveva essere considerato l'espressione consapevole degli interessi del proletariato industriale e la direzione organizzata delle sue lotte politiche, composto da "rivoluzionari di professione" i cui rapporti erano regolati da una rigida disciplina che subordinava tutti i militanti alle decisioni della maggioranza e che avrebbe assunto il nome di "centralismo democratico". Rientrato in Russia in occasione della rivoluzione del 1905, fu nuovamente costretto all'esilio dal suo fallimento. La sconfitta dell'ipotesi democratica rinsaldò in Lenin la convinzione della necessità di una rottura politica violenta e del ruolo centrale del partito rivoluzionario. La modernizzazione della Russia per lui poteva avvenire solo a opera della classe operaia e della sua avanguardia politica. In questo quadro egli esaltava il ruolo della cultura teorica (cioè il ruolo demiurgico del partito) in contrapposizione sia all'"economicismo" marxista (secondo cui la forza politica deriva automaticamente da quella economica della classe operaia), sia allo "spontaneismo", cioè la subordinazione della lotta politica alla spontaneità delle lotte operaie. Sul piano internazionale Lenin condusse, negli anni precedenti lo scoppio della Prima guerra mondiale, un'aspra battaglia ideologica all'interno della seconda Internazionale, arrivando ad accusarla di tradimento di fronte alla dipendenza che i partiti socialisti europei mostrarono nei confronti dei loro governi allo scoppio della guerra. Contemporaneamente Lenin analizzò quella che considerava una nuova fase dello sviluppo capitalistico, culminante nella politica imperialistica delle grandi potenze e nella guerra. L'imperialismo, fase suprema del capitalismo (come egli lo definì nel 1916), determinava una situazione di progressiva concentrazione monopolistica della produzione, la crisi della libera concorrenza e il predominio del capitale finanziario. Ciò costituiva per Lenin un'ulteriore riprova della non riformabilità del sistema capitalistico, destinato a provocare continue crisi e conflitti, e avvalorava l'ipotesi della necessità di una forzatura politica rivoluzionaria. Il frutto di tutte queste elaborazioni teoriche apparve particolarmente efficace durante la rivoluzione russa del 1917. Lenin, rientrato dall'esilio ginevrino con un vagone ferroviario messogli a disposizione dalle autorità tedesche (e per nulla preoccupato del fatto che costoro, in questo modo, si riproponevano d'avvantaggiarsi militarmente nei confronti della Russia), organizzò e diresse l'insurrezione d'ottobre, imponendola al suo stesso partito. Resosi conto della debolezza dei governi provvisori, delle divisioni e dell'immobilismo di menscevichi e socialrivoluzionari, "costrinse" i bolscevichi (i cui dirigenti, nella quasi totalità, erano contrari all'insurrezione) a forzare militarmente la situazione per raccogliere il malcontento delle masse russe, in particolare di settori operai e dell'esercito che reclamavano la fine della guerra, portando al potere i comunisti che pure erano in minoranza sia nei soviet che nel paese. Attraverso la parola d'ordine dell'insurrezione, tutto il potere ai soviet, Lenin indicava sia una forma di democrazia politica più avanzata rispetto al regime parlamentare borghese, sia uno strumento politico di transizione dal capitalismo al comunismo. LA DITTATURA DEL PROLETARIATO. Assunta la guida del governo, delineò i tratti fondamentali del futuro stato sovietico rilanciando la marxiana dittatura del proletariato come strumento necessariamente coercitivo per attuare la trasformazione dell'apparato statale ereditato dal regime zarista (Stato e rivoluzione, 1917). Dopo aver fondato la terza Internazionale (o Comintern), negli ultimi anni della sua vita, già molto malato, si misurò con i limiti e le contraddizioni della sua stessa metodologia politica, aggravati e messi in risalto dall'isolamento internazionale e dalle difficoltà economiche dell'Urss. Da un lato creò così i presupposti per l'autoritarismo staliniano e la centralità dell'apparato del partito e, dall'altro, venne emarginato da Stalin che approfittò della malattia (emiplegia) che lo aveva colpito nel 1923 per isolarlo dal resto del partito. Il suo testamento politico, in cui criticava Stalin e metteva in guardia il partito dai pericoli della burocrazia e dell'autoritarismo dell'apparato, non venne reso noto per molti anni. Mentre Lenin diventava da morto un elemento di stabilità del regime attraverso una santificazione che egli stesso non avrebbe voluto, Stalin, nel suo nome, procedeva alla progressiva trasformazione in senso autocratico del partito. Il centro del pensiero di Lenin, e l'eredità più rilevante che egli lasciò al movimento comunista internazionale, fu l'indissolubile nesso tra economia e politica: la politica concentrava in sé tutte le tendenze economiche e, contemporaneamente, doveva controllare l'economia. Inoltre egli elaborò un'interpretazione del marxismo che, da un lato, ne accentuò le valenze di sociologia scientifica (in base a questa lettura Il capitale diventava l'opera fondamentale di Marx) e, dall'altro, ne esaltò la portata filosofica assumendolo come modello interpretativo nuovo e autosufficiente. G. Polo KERENSKIJ, ALEKSANDR FEDOROVIC (Simbirsk 1881 - New York 1970). Politico russo. Laureatosi in legge all'Università di San Pietroburgo si avvicinò alle posizioni dei populisti. Nel 1905 si iscrisse al Partito socialista rivoluzionario e iniziò l'attività forense come difensore di imputati accusati di reati politici. Nel 1912 venne eletto deputato alla Duma. Allo scoppio della Prima guerra mondiale appoggiò l'intervento russo contro gli imperi centrali. Dopo la rivoluzione di febbraio fu vicesegretario del soviet di Pietrogrado e come ministro della Giustizia regolamentò la libertà di stampa e di associazione. Fautore intransigente della prosecuzione della guerra contro la Germania, diventò ministro della Guerra nel maggio del 1917 e in giugno diresse una fallimentare offensiva militare che prese il suo nome. Da luglio allo scoppio della rivoluzione d'ottobre fu primo ministro dell'ultimo governo provvisorio. Fuggito avventurosamente da Pietrogrado durante l'insurrezione bolscevica, dalla Russia bianca diresse le truppe controrivoluzionarie fino al maggio del 1918. Alla fine della guerra emigrò in Europa occidentale iniziando un'attività editoriale e memorialistica che, sempre su intransigenti posizioni antisovietiche, continuò anche dopo essersi trasferito negli Stati Uniti. (1903-1917). Esponenti della corrente minoritaria del Partito operaio socialdemocratico russo, costituitasi nel 1903. Capeggiati da Martov, al congresso di Londra del Posdr (1903) entrarono in contrasto con i bolscevichi sulla questione dell'organizzazione del partito: mentre il gruppo di Lenin voleva un organismo fortemente centralizzato e formato esclusivamente da rivoluzionari professionisti, i menscevichi preferivano un'associazione più larga e libera. La rivoluzione del 1905 evidenziò una fondamentale divergenza fra le due correnti in merito alla strategia rivoluzionaria. In contrasto con lo schema proposto da Lenin, i menscevichi traevano dall'analisi marxiana dello sviluppo sociale e dal riconosciuto ritardo della Russia la conclusione che il carattere della rivoluzione poteva essere soltanto democratico e borghese: la rivoluzione avrebbe dovuto dare il potere alla borghesia in una società capitalistica, all'interno della quale il proletariato sarebbe cresciuto numericamente e politicamente. Dopo la vittoria dei bolscevichi nel 1917, molti esponenti menscevichi emigrarono a Berlino dove fondarono un centro di opposizione antisovietico. (1918-1920). Combattuta tra l'esercito sovietico e le truppe antibolsceviche guidate da ex ufficiali zaristi che tentarono di restaurare l'antico regime dopo la rivoluzione d'ottobre. Truppe cosacche e contadini scontenti per le confische alimentari ordinate dal nuovo governo ebbero l'appoggio diretto delle potenze occidentali, preoccupate di tutelare il pagamento dei debiti contratti dal governo zarista. I "bianchi" potevano inoltre contare sui 40.000 uomini della Legione ceca, un corpo di volontari cecoslovacchi presenti già in precedenza in Russia per combattere contro gli imperi centrali, che si ribellarono all'ordine di smobilitazione del governo sovietico. Nell'autunno del 1919 i "bianchi" giunsero a soli 400 chilometri da Mosca e alle porte di Pietrogrado, mentre l'Ucraina (come gran parte della Russia meridionale) era sotto il controllo di un governo antisovietico. Una controffensiva dell'Armata rossa e misure di centralizzazione del potere politico evitarono la sconfitta dei bolscevichi, ma le sorti della guerra furono decise dall'ostilità contadina per le tendenze restauratrici dei "bianchi" e dalle divisioni interne ai governi occidentali. Nel novembre del 1920 le "truppe bianche", sconfitte, abbandonarono un paese che la guerra civile aveva reso meno vasto e più povero. Tentativo insurrezionale nella Russia zarista. Il dispotismo assoluto dello zar, minato dalla sconfitta militare nella guerra russo-giapponese, venne messo in crisi da una serie di manifestazioni popolari iniziate a Pietroburgo il 9 gennaio 1905, quando l'esercito aprì il fuoco su un corteo di dimostranti. Ne scaturirono scioperi e rivolte in tutta la Russia, l'ammutinamento dei marinai dell'incrociatore Potëmkin a Odessa e della guarnigione della fortezza di Kronstadt, e insurrezioni a carattere nazionalistico in Polonia e Finlandia. La rivolta popolare fu provocata anche dalla difficile situazione economica interna e un notevole apporto venne dall'azione dei gruppi socialisti che, agendo soprattutto nelle grandi città e tra le masse operaie, tentarono di trasformare la rivolta in rivoluzione socialista: fu in questa occasione che vennero fondati i primi soviet operai che sarebbero poi cresciuti per diventare il luogo privilegiato d'azione dei bolscevichi. Per salvare il proprio potere lo zar promise l'elezione di un parlamento legislativo (Duma) e in ottobre emanò una costituzione. La rivoluzione del 1905 inaugurò un decennio di conflitti politici e sociali, che il regime zarista non riuscì mai a controllare in maniera definitiva, e pose le basi per le rivoluzioni del 1917. In generale, tendenza di uno stato o di un popolo ad acquisire il dominio e il controllo politico o economico, diretto oppure indiretto, su un altro stato o su un altro popolo. DAL COLONIALISMO ALL'IMPERIALISMO. Più specificamente s'intende l'indirizzo tipico degli stati che si trovavano nella fase di grande espansione del capitalismo soprattutto a partire dagli anni ottanta dell'Ottocento. Il termine trae infatti origine dall'assetto "imperiale" dato dal 1877 dalla Gran Bretagna alle relazioni con i possedimenti coloniali, quando la regina Vittoria assunse il titolo di "imperatrice delle Indie". Nel periodo compreso tra l'ultimo ventennio dell'Ottocento e la Prima guerra mondiale, che già i contemporanei definirono "età dell'imperialismo", l'espansione coloniale procedette a un ritmo assai più rapido che nel passato, determinando gli orientamenti delle relazioni diplomatiche e delle alleanze tra gli stati ed esercitando un peso senza precedenti anche nella politica interna dei singoli paesi. Ampi riflessi si ebbero nel mondo della cultura e sull'opinione pubblica, presso le quali le tendenze espansive degli stati alimentarono ideologie nazionaliste xenofobe e razziste che caratterizzarono ampia parte della società europea e ne furono alimentate. La definizione storiograficamente accettata di imperialismo non è quindi da ricondursi solo alla vastità dell'espansione coloniale, ma alle modalità di questo processo e alle sue implicazioni sociali anche all'interno dei paesi imperialisti. Infatti, nel periodo immediatamente precedente all'età dell'imperialismo, le maggiori potenze coloniali (Regno unito, Spagna, Portogallo, Francia, Paesi bassi) non avevano certo interrotto la loro espansione e anzi, tra il 1800 e il 1878, si erano assicurati territori extraeuropei per oltre 17 milioni di km, contro i 22 milioni (un quarto circa della superficie terrestre) che gli stati imperialisti si spartirono dagli anni ottanta al 1914. Il "nuovo" imperialismo fu soprattutto una spartizione del mondo pianificata tra le potenze che, a cominciare dal congresso di Berlino (1884-1885) risolsero tendenzialmente per via diplomatica i conflitti sorgenti dall'espansione coloniale. Gli imperialismi furono comunque profondamente diversi tra loro, oltre che per le direttrici d'espansione, anche per le modalità di acquisizione e di gestione del dominio, il che avrebbe pesantemente influenzato anche tappe e modalità della decolonizzazione nel secondo dopoguerra. L'imperialismo inglese, che si innestava su un vasto dominio coloniale, frutto di un'esperienza secolare, ebbe un'articolazione quasi planetaria. Motivi strategici (il dominio dei mari) spinsero nel corso dell'Ottocento all'acquisizione di una catena di piazzeforti marittime che collegasse i domini britannici: Gibilterra, Malta, Suez, Aden, Città del capo, Singapore, Seychelles, Figi, Falkland e altre ancora. Tra il 1882 e la Prima guerra mondiale la Gran Bretagna assunse il controllo di vasti territori in Africa (Egitto, Sudan, Kenia, Nigeria, Rhodesia, il cono meridionale del continente più altri territori sparsi); incentivò il popolamento nelle colonie d'Australia e Nuova Zelanda (il cui possesso fu rafforzato nella prima metà dell'Ottocento) e nel Sudafrica, completò la sottomissione del subcontinente indiano. Gli inglesi adottarono modelli di gestione coloniale molto articolati: le colonie di popolamento (cioè meta di emigrazione dalla madrepatria) abitate prevalentemente da bianchi (come Canada, Australia, Nuova Zelanda) furono presto avviate verso l'autonomia amministrativa e l'autogoverno, mentre nei domini abitati soprattutto da indigeni si introdussero forme di governo indiretto di tipo autoritario-paternalistico che non sopprimevano gli istituti indigeni, ma li utilizzavano affidandoli direttamente o indirettamente a funzionari inglesi. La Francia non realizzò, invece, grosse colonie di popolamento e si mosse soprattutto per questioni di prestigio, conquistando tra il 1830 e la Prima guerra mondiale la quasi totalità dell'Africa occidentale e il Madagascar e formando nel 1887 l'Unione indocinese (penisola Indocinese). L'amministrazione francese fu caratterizzata da forme di gestione diretta e autoritaria delle colonie. Italia e Germania entrarono nella gara imperialista con un certo ritardo e si mossero soprattutto per ragioni di prestigio. La Germania si orientò, nei tardi anni ottanta, verso l'Africa centrorientale (Camerun, Tanganica). L'Italia si indirizzò verso il cono etiopico dal 1885 e occupò una prima volta la Libia nel 1911-1912; solo durante il fascismo maturò una più decisa politica imperialistica (riconquista della Libia, 1922-1932; Etiopia, 1935-1936; proclamazione dell'impero, 1936), in una fase, però, in cui le relazioni tra le grandi potenze non erano più imperniate sull'accordo per la spartizione colonialista del mondo. Tarda fu anche l'espansione imperialistica del Giappone, che si realizzò a spese della vasta periferia dell'impero cinese (Corea), mentre le antiche potenze coloniali di Spagna e Portogallo restarono alla fine dell'Ottocento spogliate di gran parte del loro impero. IMPERIALISMO E ANTIMPERIALISMO. Una forma particolare di imperialismo fu quella attuata sin dall'Ottocento dagli Stati Uniti, che all'occupazione dei territori preferirono la "diplomazia del dollaro", vale a dire la creazione di una egemonia nel contempo economica e militare su tutto il continente americano (con l'esclusione del Canada), realizzata attraverso la penetrazione delle grandi società commerciali statunitensi che giunsero a esercitare un pesante controllo, in parte tuttora esistente, su gran parte dell'America latina. Tra le potenze imperialistiche, seppure in posizione in qualche modo "anomala", devono essere compresi anche l'impero russo, che assoggettò nel corso dell'Ottocento numerose popolazioni nomadi dell'Asia orientale e centrale, e il Belgio, che nel 1908 acquisì ufficialmente il Congo, dopo quindici anni di sfruttamento, sotto forma di proprietà privata della corona, delle ricche risorse minerarie di quell'ampia area equatoriale, dove era stato introdotto il lavoro forzato degli indigeni. Nell'individuazione delle cause dell'imperialismo rimangono in buona parte valide le interpretazioni emerse sin dagli inizi del Novecento per opera del liberale inglese John Hobson (e sviluppate più tardi, in un'ottica diversa, da Lenin), che stabilivano un nesso specifico tra sviluppo del capitalismo nelle aree forti ed espansione verso le periferie. L'obiettivo dei paesi imperialisti non era però soltanto la ricerca di nuovi mercati o di nuove aree di investimento (infatti rimase sostanzialmente ridotta l'incidenza dei rapporti economici tra le metropoli e le nuove colonie), quanto piuttosto la volontà di mantenere in condizioni di subordinazione i paesi arretrati per controllare le fonti di materie prime. Ugualmente importanti furono, inoltre, le necessità strategico-militari delle potenze, e non ultima la volontà di deviare le tensioni sociali verso una forzata azione espansionistica. A partire dagli anni sessanta del XX secolo il termine imperialismo divenne sinonimo di un più generico espansionismo egemonico per qualificare la politica aggressiva, sia sul piano economico che militare, delle grandi potenze nei riguardi particolarmente dei paesi del terzo mondo. Il termine assunse, così, una nuova valenza in opposizione al suo contrario, l'antimperialismo, denominazione attribuita alla politica caratteristica dei movimenti di liberazione nazionale nel periodo della lunga decolonizzazione del secondo dopoguerra in Asia, o riferita ai fermenti rivoluzionari dell'America latina contro governi nazionali vittime della rediviva "diplomazia del dollaro" statunitense. Tali nuovi significati furono quindi fatti propri e diffusi dai movimenti pacifisti americani degli anni sessanta in opposizione alla guerra del Vietnam e quindi anche dalle sinistre europee, poco propense peraltro a definire imperialistiche analoghe operazioni militari compiute dall'Urss (invasione dell'Afghanistan nel 1979-1989, ma anche dell'Ungheria nel 1956 e dalla Cecoslovacchia nel 1968). Nei vari contesti dello scacchiere internazionale a cui è riferito, il concetto di imperialismo finì quindi per assumere un significato estremamente vago e politicamente orientato: movimenti di liberazione, regimi e anche organizzazioni terroristiche di impronta nazionalistica, o marxista, o più genericamente populista, fecero della lotta a un imperialismo genericamente definito la bandiera del proprio schieramento antistatunitense e la chiave di volta per ottenere l'appoggio dell'Unione sovietica. Il dissolvimento dell'Urss, principale fautrice e finanziatrice dell'antimperialismo in funzione anti Usa, potrebbe preludere a ulteriori modificazioni di senso della diade imperialismo/antiperialismo; per esempio già le invasioni dell'isola di Grenada (1983) e di Panama (1989) a opera delle truppe statunitensi non diedero luogo da parte sovietica a significative contromisure alla politica imperialistica degli Usa, né nei paesi occidentali si sviluppò una importante ondata di protesta antimperialistica. La nuova fase internazionale rende invece prevedibile il recupero del significato di imperialismo come sopraffazione culturale, prima ancora che economica, di culture più di altre lontane dai modelli di vita dei paesi a capitalismo avanzato; in questo senso è da considerarsi l'attacco "antimperialistico" contro la cultura occidentale nel suo complesso lanciato dall'Iran a partire dalla rivoluzione islamica del 1979, e fatto proprio da ampi settori dell'integralismo musulmano mediorientale e nordafricano. M. Soresina G. Carocci, L'età dell'imperialismo, (1870-1918), Il Mulino, Bologna 1979; G. De Bosschère, I due versanti della storia. 1° Storia della colonizzazione, 2° Storia della decolonizzazione, Feltrinelli, Milano 1972-1973; T. Kemp, Teorie dell'imperialismo. Da Marx a oggi, Einaudi, Torino 1969; V.G. Kiernan, Eserciti e imperi. La dimensione militare dell'imperialismo europeo. 1815-1960, Il Mulino, Bologna 1985; W.J. Mommsen, L'età dell'imperialismo, (Storia universale Feltrinelli, vol. 28), Feltrinelli, Milano 1970. Regime politico teorizzato da Marx e ripreso da Lenin, il quale affermò come necessaria, nella fase di transizione dal capitalismo al socialismo, la presa del potere politico da parte delle organizzazioni operaie per distruggere gli apparati statali della borghesia. Stalin affermò che essa era stata realizzata in Urss accentuandovi il ruolo dirigente del Partito comunista. (Julij Osipovic Cederbaum, Costantinopoli 1873 - Schönberg 1923). Politico russo. Tra i primi esponenti della socialdemocrazia russa, al congresso di Londra (1903) entrò in contrasto con la posizione sostenuta da Lenin, divenendo fondatore e leader della corrente dei menscevichi. Emigrato a Berlino nel 1921 in seguito alla vittoria dei bolscevichi pubblicò una Storia della socialdemocrazia russa (1923). (1904-1905). Fu combattuta per la supremazia militare in estremo Oriente e il controllo della Corea e della Manciuria. I russi furono sconfitti duramente sia in mare (Tsushima) che a terra (Mukden), provocando una pesante crisi politica interna. Si concluse con la pace di Portsmouth, che segnò l'affermazione del Giappone come potenza mondiale. (13 giugno - 13 luglio 1878). Conferenza delle potenze europee, sotto la direzione di Bismarck, con lo scopo di allentare le tensioni nelle regioni balcaniche soggette al dominio turco (Bosnia, Erzegovina, Bulgaria), sfociate nella guerra tra Russia e ottomani (1877). Col trattato di Santo Stefano i russi vittoriosi avevano appena posto un'ipoteca politica sui Balcani, a cui reagirono austriaci e inglesi, spingendo Bismarck a convocare il congresso. Protagonisti ne furono, oltre al cancelliere tedesco, G. Andrassy (Austria-Ungheria), A.M. Gorcakov (Russia) e B. Disraeli (Gran Bretagna) che presero le reali decisioni, scavalcando Francia, Turchia e Italia. I successi russi furono ridimensionati; Romania, Serbia, Montenegro e Bulgaria rimasero indipendenti, con perdite territoriali dei bulgari, filorussi; la Bosnia-Erzegovina fu affidata all'Austria in "amministrazione temporanea" e Cipro agli inglesi; la Russia si accontentò della Bessarabia. L'Italia ebbe il ruolo di comparsa. L'accordo incrinò il patto dei tre imperatori e preparò l'avvicinamento tra Russia, Francia e Gran Bretagna. Il vasto processo che, dopo la Seconda guerra mondiale fino alla metà degli anni settanta, portò all'indipendenza di numerose nazioni asiatiche e africane e alla fine degli imperi coloniali europei. Le cause principali dell'avvio di questo fenomeno furono il ridimensionamento delle potenze europee di fronte ai due nuovi giganti contrapposti (Usa e Urss) e la crescita, nelle nazioni sottomesse, di un'élite locale indipendentista già dagli anni venti e trenta. Fu l'Asia, maggiormente coinvolta nelle vicende belliche per il ruolo del Giappone, a dare il via al processo di decolonizzazione, con la conquista dell'indipendenza da parte dell'India e del Pakistan (1947), la vittoria della rivoluzione comunista in Cina e il riconoscimento dell'indipendenza dell'Indonesia (1949). Alla fine degli anni quaranta iniziò anche un profondo rimescolamento di carte nell'area mediorientale (1946, indipendenza di Siria e Libano; 1948, nascita di Israele e Prima guerra arabo-israeliana). Il processo investì anche i paesi africani a partire dagli anni cinquanta, dapprima nell'Africa settentrionale (1951, Libia; 1956, Tunisia, Marocco e Sudan) e in seguito nell'Africa nera (1957, Ghana; dal 1960 le altre nazioni). I paesi europei reagirono in maniera differente al crollo dei loro imperi coloniali: la Gran Bretagna tentò di evitare la radicalizzazione e la repressione militare (con l'eccezione del Kenia nel 1963) puntando, tramite il Commonwealth, a mantenere stretti legami economici con i paesi decolonizzati; gli altri paesi cercarono di impedire il distacco delle colonie ricorrendo spesso alle armi, sia in Asia che in Africa (come la Francia in Algeria e Vietnam, il Belgio in Congo, l'Olanda in Indonesia). In alcune ex colonie la minoranza bianca tentò di mantenere un ferreo dominio, fallendo in Zimbabwe, ma riuscendovi a lungo in Sudafrica. M. Grispigni J.L. Miège, Espansione europea e decolonizzazione dal 1870 ai nostri giorni, Mursia, Milano 1976; J. Berque, J.P. Charnay, De l'impérialisme à la décolonisation, Minuit, Parigi 1974; F. Fanon, Opere scelte, Einaudi, Torino 1971. (22 ottobre 1873). Alleanza difensiva tra l'Austria-Ungheria, la Germania e la Russia. Nata dalla necessità di stringere i legami di solidarietà tra le potenze monarchiche, aveva lo scopo di conservare la pace in Europa orientale e di impedire i disegni di rivincita della Francia repubblicana dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana (1870-1871), alimentata anche, sullo sfondo, dalla preoccupazione per il diffondersi della "sovversione" socialista. Fu rinnovata il 18 giugno 1881 e rimase in vigore fino al 1887, stabilendo una benevola neutralità in caso di guerra di uno dei contraenti con altri stati e prevedendo l'obbligo di consultazioni preventive nell'eventualità di una rottura dello status quo nell'Europa sudorientale. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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